Villandorme, il Friuli british di Lino Straulino

Villandorme è il trio di Lino Straulino con Alessia Valle e Alvise Nodale, tra folk inglese “storico” e classici della musica popolare italiana

di Guido Festinese – giornale della musica

Villandorme

Una veste (volutamente) spartana, che con la sua disadorna semplicità ottiene l’effetto voluto uguale e contrario di affinare lo sguardo a caccia di indizi simbolici, e prepara le orecchie, il cuore e la mente a un ascolto attento. Fateci caso, è quanto di più manca oggi, per come stiamo perdendo la battaglia contro un soverchiante assedio d’immagini in continuo cambiamento, e contro un (ab)uso della musica che funziona più o meno così: dammi un indizio nei primi e unici otto secondi di attenzione che posso concederti – la soglia d’attenzione del pesce rosso, in pratica – o passerò oltre per altre non-emozioni.

Villandorme è la sola parola che troverete stampata sul fronte di un cd che, per il resto, offre un’immagine inquietante e possente di un ballo in costume con due figure quasi diaboliche, l’uno che imbraccia una piccola chitarra, l’altro che pratica una danza con bastone. Dall’esigua nota interna veniamo a sapere che l’immagine è tratta dai Balli di Sfessania di Jacques Callot, uno dei massimi illustratori dell’era barocca, nato in Lorena, formatosi anche in Italia.

Villandorme è un trio intergenerazionale che comprende la fresca voce di Alessia Valle, e le chitarre di Lino Straulino e del giovane Alvise Nodale. Chi segue le vicende del complesso mondo del folk revival creativo sul bordo orientale italiano sa che Lino Straulino è un nome prezioso: a suo tempo valorizzato anche dalla gloriosa rivista di EDT “World Music Magazine”, con un cd oggi ricercato da cultori e collezionisti di gemme musicali perdute o trascurate.

Straulino, s’è detto, è figura cardine del folk progressivo friulano: lo avevamo lasciato un paio d’anni fa con un disco dedicato alla non facile operazione di mettere in musica le parole del poeta carnico Leonardo Zanier, lavoro che affondava le radici in un precedente tentativo messo in opera dal Canzoniere Friulano. Anche lì splendeva la concezione musicale del nostro: la voce sul gentile tintinnio della sei corde, trattata con la medesima maestria che negli ultimi decenni le hanno riservato Martyn, Cockburn, Renbourn, Jansch.

Questi due ultimi nomi dovrebbero attizzare immediati ricordi a chi ha qualche capello grigio: erano i plettri e le dita protagonisti dei Pentangle, seminale gruppo folk rock aperto anche a luminose epifanie gentilmente jazzate. Proprio l’opera dei Pentangle (con un ricordo, anche, per i primissimi Steeleye Span) e l’incastro forbito e continuo tra le due corde arpeggiate struttura l’opera di Villandorme, per esplicita ammissione dello stesso Straulino: e il posto di Jacqui McShee ce l’ha la fresca voce di Alessia Valle. Qualche volta contrappuntata con discrezione da quella di Straulino, come nella conclusiva “L’inglesina”.

Rilette così, canzoni assolutamente classiche dal repertorio del grande Nord indagato dal Nigra (“Cecilia”, “Donna lombarda”, “La bella brunetta”, e via citando) prendono sfumature e brume nordiche, e risonanze che ci ricordano una stagione gloriosa e un po’ scivolata nell’oblio delle grandi note di tradizione orale. La memoria ha sempre solide ragioni. Quando la memoria è anche bellezza, il matrimonio è perfetto.