Il vecchio stile di Salvatore Villani

Un disco di pizzica-pizzica che è un viaggio nella carriera e nella vita di Salvatore Villani, musicista e ricercatore
 Un musicista del nostro Sud che intitoli un suo lavoro Vecchio stile è un po’ come un collega della contea del Donegal che metta nel titolo di una sua raccolta di gighe, arie e lament la definizione “old fashioned”.

Chiaro l’intento e  la manovra selettiva,nei confronti della tradizione, che come sappiamo è sempre frutto di scelte, non di codici imperativi. Però sgomberiamo subito il campo da ogni equivoco: la necessità di riproporre brani che sono persi nelle pieghe della storia, e che ogni tanto sono riaffiorati, complice una cosciente ricerca storica che ha saputo ridarsi strumenti d’indagine c’è tutta. Ma Vecchio stile, in realtà, è anche un tributo al primo gruppo in cui un giovanissimo Salvatore Villani si trovò a suonare per feste e matrimoni: un gruppo che non avevaneppure l’ardire di registrarsi, e che per fortuna qualcuno invece riuscì a fissare su nastro magnetico.

Ciò premesso, il disco di Villani è davvero un sunto, un viaggio, uno squarcio anche per certi versi visionario sulla storia di una vita spesa a ricercare, a suonare, a studiare per lo specialista di corde e di vocalità popolare nato a Rignano Garganico. Alle spalle c’è una storia di formazione classica, sia nella musica antica, sia in quella contemporanea, poi è arrivato il colpo di fulmine per l’etnomusicologia, grazie anche a Roberto Leydi che gli ha fornito attrezzatura teorica per tornare a convogliare immensi patrimoni orali in musica viva.Vecchio stile Salvatore Villani

Qui metteremmo, ad esempio, la “ri-scoperta” delle epocali riprese sonore di Alan Lomax e Diego Carpitella, di cui abbiamo parlato di recente. E spunti pratici: ad esempio quello di tornare a suonare la chitarra battente, uno strumento magnifico caduto in un triste dimenticatoio storico, e che Villani ha ripreso a suonare all’inizio degli anni Ottanta, anche con la frequentazione assidua del più grande maestro carpinese, Andrea Sacco. O il tornare a cantare con la sapienza popolare che fa assumere valenze espressive significative a tecniche espressive vocali non certamente utilizzabili o consigliate con il sistema temperato: i quarti di tono, la pronuncia di testa, il gioco flessuoso su anticipi e ritardi nel portare il ritmo spostando gli accenti. Fondamentale anche l’ incontro con Giovanna Marini, che in terra di Puglia ha spesso trovato sapienza musicale da riscoprire e grande ospitalità, e che è stata un punto di riferimento per tutta la carriera di Villani. C’è anche lei nel disco: nello stornello polivocale a voci alterne Fior di limone, inciso nel 2015.

Troverete in Vecchio stile anche un originale di Villani in memoria di un amico scomparso troppo presto, e diciassette brani della tradizione garganica e salentina, in qualche caso opportunamente speziati di “altro” – a ben vedere, storicizzazione di approcci diversi alle note folk della propria terra. Succede ad esempio nella magnifica tarantella “Mo’ hadda balla lu rizzë e la cëstunjë”, che contiene qualche battuta di pianoforte in jazz, un omaggio a note avventurose conosciute da ragazzino, o in “Conta la grana che ma da dà”, che molti ricorderanno nella versione del grande Matteo Salvatore, altro mentore per Salvatore Villani.

In coda, qui, arriva qualche piacevole bordata di organo hammond, e sembra di ascoltare un brano palpitante di folk rock dei primi anni Settanta. Nelle note di copertina un intervento di Giovanna Marini e uno di Gino Annolfi, oltre a un prezioso commento brano per brano.